Corrado Forlani di Esox Italia

Torna la nostra rubrica I pescatori del Web, con cui andiamo a intervistare alcuni dei pescatori italiani più visibili sul web. Oggi siamo andati ad intervistare un personaggio molto attivo sul piano amministrativo e che si è fatto sentire spesso su diversi argomenti sul web

Corrado Forlani

Corrado Forlani di Esox Italia

Ciao Corrado, iniziamo questa intervista con una domanda di circostanza, presentati ai nostri lettori.

Corrado: Un saluto a tutti, intanto grazie dell’interesse e dell’intervista, io sono solo un pescatore che negli anni si è appassionato al volontariato e ai problemi della gestione. H

Ho comuniciato a pescare da bambino nei canali del ferrarese e dall’età di 15 anni pesco quasi esclusivamente a spinning, ho fatto agonismo al bass per poi specializzarmi quasi esclusivamente sul luccio. Ultimamente causa la vicinanza col mare mi sto avvicinando al surf casting.

Sono presidente di una piccola associazione per la tutela del luccio, che intendo trasformare in un circolo culturale interno alla Federazione, Consigliere nazionale di Spinning Club Italia e consigliere provinciale federale a Treviso. Oltre qualche incarico nelle consulte locali.

So che sei molto impegnato per promuovere la pesca sportiva sul territorio, parlaci dei progetti a cui stai lavorando.

Corrado: In questo momento sto lavorando a un volume per la promozione della pesca nelle scuole primarie e secondarie, con l’aiuto di due ittiologi per la parte scientifica e di un famoso illustratore, ho già avuto l’accordo di alcuni dirigenti scolastici e spero sia un’iniziativa che possa poi estendersi a livello regionale.

Sono molto orgoglioso del centro ittiogenico che stiamo costruendo a Treviso, con l’aiuto della regione e del Comune, su mio progetto, che dovrebbe essere il primo incubatoio per lucci e specie ciprinicole e dovremmo inaugurarlo il mese prossimo.

Inoltre stiamo andando avanti coi corsi per guardie volontarie, la posa di fascine per la riproduzione del persico reale e il contrasto alle reti illegali, e poi tutta la normale attività politica di richieste di ammodernamenti normativi di cui la pesca ha estermo bisogno. Poi ovviamente si procede come si può per il monitoraggio degli scarichi, anche se il percolato di prodotti usati in agricoltura è forse oggi la minaccia più grave per le acque, ma noi non abbiamo possibilità di intervenire sui piani di sviluppo rurarle, attendiamo una direttiva europea sulle acque irrigue.

Vista la tua conoscenza in materia, secondo te quali sono i problemi più gravi che affliggono le nostre acque

Prima dei problemi gestionali, la cosa che mi preoccupa di più è la disaffezione generale alla pesca, pare che manchi, specie nelle zone più degradate, un ricambio generazionale, il crollo delle licenze lo dimostra, e se saremo pochi conteremo poco, oltre a tutta una tradizione popolare e di promozione sociale che andrà perduta.

Per il resto i problemi sono i soliti: l’inquinamento di diverse origini, quello industriale e zootecnico, sia pure con tutte le eccezioni è ormai abbastanza normato e sotto controllo, quello agricolo e quello domestico molto meno. E questo causa l’impoverimento e la scomparsa di molte specie, e specie in pianura della vegetazione acquatica che è alla base della catena alimentare e del successo riproduttivo delle nostre specie.

Gli uccelli ittiofagi, cormorani ma anche aironi e garzette che si sono moltiplicati in tante aree, e che hanno vita facile specie in acque che non offrono più rifugio per la fauna ittica, su questo abbiamo avuto dei primi permessi di abbattimento, ma sempre di quote marginali, speriamo che con la lista ISPRA sulle invasive per il nuovo regolamento CEE si possano avere quote maggiori.
Coi circoli che presiedo abbiamo partecipato al censimento del 2013 e i dati consegrati all’Istituto sono allarmanti; c’è il problema molto grave dell’accesso alle zone riparie, agli argini e ai cigli dei corsi d’acqua, sempre più spesso resi inagibili da ordinanze municipali più o meno lecite, dai consorzi di bonifica, da un’agricoltura che arriva col seminativo fin sul ciglio dei fiumi, su questo punto c’è una giungla di norme, basta leggere i documenti del pabat del veneto per rendersene conto, occorre uniformare le norme per rendere i fiumi fruibili e presidiati.

In questo contesto abbiamo un aumeto esponenziale della pesca illegale, spesso organizzata a livello industriale, specie in quelle pianure dove non c’è più il presidio dei piccoli agricoltori ma son state trasformate in grandi latifondi praticamente deserti, Rovigo e Ferrara sopra tutti, controllare il fenomeno con poche guardie provinciali è quasi impossibile, bisogna pensare a rendere queste infrazioni amministrative reati contro il patrimonio. Ma la repressione da sola non basta, occorre tornare a rendere fruibili i fiumi e riportare i cittadini a fruirli con la pesca e non solo, questo è il senso dei Contratti di Fiume, che per fortuna si stan moltiplicando.

Poi abbiamo il problema delle microcentraline in montagna e sulla pedemontana, interi habitat distrutti, non tanto per la misera produzione di energia quanto per la speculazione dei certificati verdi e per la compravendita delle concessioni, a volte si distrugge l’aveo di un torrente per produrre 6kw, l’equivalente di un pannello solare sul tetto.

Non dimentichiamo infine che acque ancora relativamente sane sono sconvolte dall’invasione di specie dannose di origine danubiana, e non mi riferisco al solo siluro, breme e gradons in branchi compatti fanno razzia di uova, il perca mette in pericolo gli stadi giovanili e la minutaglia di tante specie.

In sostanza tutto quanto detto sopra si traduce in un unico problema che è la mancanza di gestione del territorio, o peggio ancora l’abbandono del territorio. Associazioni di pesca, comitati cittadini, gommonauti e canoisti, cicloturisti, associazioni ambientaliste devono fare quadrato, assieme alle associazioni di albergatori e a mille altri attori per partecipare alla gestione e alla riqualificazione. Pensare che il mondo della pesca possa da solo modificare questi processi è impensabile. E infine occorre fare leva sulle direttive comunitarie e le leggi nazionali e a cominciare dalle zone protette o vincolate , SIC, ZPS, ZFR, RETENATURA2000CEE, PARCO E PREPARCO si cominci ad investire in ambiente, pena procedure d’infrazione pesanti.

Corrado Forlani Con un Luccio

Parliamo di ambienti: molti dei bacini e dei corsi d’acqua del nostro paese soffrono delle gravi situazioni già citate, inquinamento primo fra tutti. Secondo te quale sarebbero le soluzioni auspicabili per cercare di arginare il problema?

Guarda Luca come dicevo, l’inquinamento è migliorato se pensiamo ai picchi degli anni 80 e 90, anche se ci sono ancora fonti pesanti e resta il problema dei sedimenti.

La biosfera è un organismo complesso e le soluzioni non sono semplici di conseguenza, di certo nei corsi minori dove si è cominciato ad agire coi Contratti di Fiume, i miglioramenti si vedono, così come nei laghi dove son state eseguite bonifiche a e piantumazioni. La soluzione è andare avanti e come pescatori guardare oltre il mondo della pesca e collaborare con tutte quelle componenti che guardano verso la salvaguardia del territorio. Per poterlo fare dobbiamo rafforzare le nostre componenti associative e la Federazione.

Su questo ultimo punto mi sono espresso altre volte, molti pescatori sono critici nei confronti di FIPSAS perchè ha privilegiato l’agonismo, perchè ha fatto errori strategici in passato e quant’altro, ma in realtà la FIPSAS siamo noi e possiamo formare i nostri circoli spingendo in una direzione moderna di sostenibilità. Non esiste nulla all’orrizzonte in grado di sostituire la federazione come rappresentanza della pesca. Ne le associazioni presenti.

Si deve guidare il cambiamento e superare mentalità datate. Se siamo forti e siamo in grado di collaborare con i comitati locali, le componenti schientifiche ed ambientaliste possiamo entrare anche nelle commissioni non direttamente legate alla pesca e chiedere dei punti di svolta sulla gestione ambientale, ricordiamoci che del pesce interessa soltanto a noi, della salute dell’acqua e delle falde e di interi bacini idropotabili interessa tutti. Dobbiamo uscire da vecchie logiche che ci vedono chiedere un km di no kill o l’amo senza ardiglione, e pensare a progetti più ampi di recupero e gestione ambientale e faunistica.

Secondo te le nostre acque potrebbero davvero tornare ad essere quelle di 50 anni fa oppure è solo una utopica speranza?

Ma secondo me potrebbero essere anche meglio, 50 anni fa eravamo a metà anni 60, le morie di pesce non si contavano, i diserbanti erano di uso comune, le industrie scaricavano direttamente nei fiumi, le tecniche di pesca erano invasive più di ora. Anche se ovviamente le acque erano ancora più sane di oggi e la biodiversità ancora in gran parte integra, ma Albertarelli parlava già 40 anni fa di avvenuta Ecocatastrofe dei nostri fiumi.

La speranza plausibile è una sola: Che i grandi investimenti pubblici spostino il loro business sull’economia verde e la riqualificazione e messa in sicurezza del territorio. Altri paesi lo fanno da tempo, da noi esiste ancora un rapporto tra politica e appalti molto stretto, ma è evidente che non si può continuare a fare infrastrutture all’infinit, su territori dove ormai il consuno di suolo è il più alto d’europa.

Dovranno necessariamente rivisitare il loro raggio d’azione, in fondo il movimento terra lo fai tanto costruendo una tangeziale che naturalizzando l’alveo di un fiume. È un processo lento, ma che in alcuni luoghi d’italia sta partendo in maniera significativa, Direttive e Regolamenti CEE ormai ci obbligano a seguire questa strada.  Vedi se chiedi a chiunque se è possibile riqualificare il Po ti dirà che non è possibile. Ma io credo che se le risorse investite in una delle tante grandi opere un domani andassero in questa direzione sarebbe possibilissimo.

Cominciamo dal reticolo minore, dove stiamo già vedendo dei risultati e cerchiamo di spingere la politica su investimenti sostenibili. La capacità di ripresa della natura è incredibile, in tante zone basta togliere una serie di impatti per vedere l’habitat tornare a vivere e specie che si credevano scomparse ricomparire. Ovvio che occorrerà tempo, ma il cambio di direzione è già visibile. Quello che dobbiamo fare nel frattempo è portare i giovani a pesca e continuare a fare promozione perchè la tradizione della pesca non vada perduta o si riduca ad una nicchia di specialisti.

Corrado Forlani in pesca

Quale è il tuo punto di vista in merito agli alloctoni? Le attuali campagne di contenimento secondo te sono sufficenti e necessarie? Non credi che le diverse associazioni siano “sorde” su alcune specie?

Vedi, questo è un’argomento difficile da maneggiare, sul web impazza da anni il tormentone “siluro si / siluro no” esteso poi agli alloctoni in generale. Evidentemente un gioco di fazioni che essendo impostato sul sistema binario del si o del no rende impossibile qualsiasi dialettica propositiva in merito. Ma soprattutto non è una posizione spendibile nei confronti delle amministrazioni.

Ti immagini un qualsiasi rappresentante della pesca che si reca da un’amministrazione sostenendo la tesi del siluro no e chieda l’eradicazione degli alloctoni da ogni corso d’acqua di una provincia o di una regione. Lo guardan come un matto ben sapendo che non è possibile, ne pensabile, e che non ci sono nemmeno le risorse. Altrettanto capiterebbe a chi andasse con la tesi del siluro si a sostenere che le acque non van gestite in merito agli alieni invasivi e devono essere lasciate a se stesse dal punto di vista biologico, con tutto quel che ci capita dentro. Anche qui le amministrazioni san benissimo che non possono non intervenire contro il degrado biologico e la perdità di biodiversità (per una questione di manutenzione del territorio e per non incorrere in almeno una decina di procedure di infrazione) e chi lo sostiene si mette ai margini del mondo gestionale e istituzionale.

Per questo il tormentone non ha mai valicato la soglia del web, perchè può essere solo virtuale, ho tentato spesso di farlo comprendere, ma evidentemente non sono abbastanza chiaro. Le campagne di contenimento hanno un senso in quegli ambienti di recente impatto, dove la fauna autoctona ha ancora possibilità di ripresa, hanno senso dove contestualmente c’è un piano di riqualificazione, hanno senso in quelle zone individuate di maggior pregio e soggette a vincoli ambientali, non hanno molto senso se fatte a casaccio e senza un programma gestionale più vasto.

Alcune associazioni sono sorde, ma bisogna vedere in che senso lo sono, la federazione fa gare al colpo a pesci alloctoni, ma il suo interesse per gli alloctoni si limita all’estensione dei campi gara, al di fuori di quelli per tali specie promuove anche contenimenti. Ora i campi gara saranno a dir molto l’uno per cento del reticolo delle acque. È ovvio che per una porzione del genere si possa derogare in una situazione di degrado generale, come ritengo si potrebbe derogare per il catfishing e altri alloctoni per quote ben maggiori. Ma nessuno lo chiede.

Chiederlo significa darsi una progettualità, creare presidi, offrire compensazioni politiche, più comodo chiedere tutto dal web pur sapendo che non è efficace e che nel frattempo il territorio è invaso da ogni sorta di impatto che minaccia gli alloctoni stessi.

La mappa non è il territorio, e la mappa virtuale non rappresenta minimamente il territorio. Il territorio della bassa padana, per chiunque voglia visitarlo è fatto di fiumi e canali senza pescatori, kilometri e kilometri senza vederne uno, dove ci sarebbe posto per tutti nessuno pesca. Dove si gestiscono le acque si riempie di pescatori. Vedi tutti portano l’esempio dell’Ebro o del delle foci del Rodano per la pesca del siluro, vero, ma qualcuno si è fatto un giro per tutti i bacini fluviali francesi a vedere come sono tenuti e gestiti?

Pensare di non presidiare, di non gestire, di non vigilare, di non fare gestione faunistica e promozione sportiva e di avere acque pescose col proprio pesce preferito ovunque è un’utopia, anche per chi pesca specie invasive. Per concludere il problema dell’alloctonia non è avere qualche specie ospite in più, ma quello di non trovarsi con 30 specie native in meno. Per questo occorre zonare le acque e pescare tutti. Questo almeno è il mio pensiero. Concludo dicendo che la conservazione della biodiversità, oggi non è un trastullo per pochi idealisti, è una delle prime emergenze globali, il parlamento CEE a giugno ha votato il regolamento comunitario contro le specie aliene invasive  (IAS) con 606 voti contro 34. Gli stati membri, e l’Italia tramite ISPRA stan facendo le liste delle specie a maggior impatto. Sarebbe bene che la dialettica attorno a questi temi facesse un’immediato salto di qualità e maturasse attorno a tavoli condivisi fatti di proposte sostenibili.

Come è lavorare a stretto contatto con certe realtà e certe amministrazioni? Si dimostrano attente a certe richieste e certe necessità riguardo i problemi sopracitati oppure fanno le classiche orecchie da mercante?

I funzionari alla pesca, regionali o provinciali son di solito molto preparati, di solito hanno un curriculum di studi inerente alla biologia, normalmente, con le eccezioni del caso, di solito se si portano progetti coerenti li esaminano e ne promuovono l’attuazione, ma come sempre l’ultima parola spetta al politico, l’assessore o chi per lui, e li si entra davvero in un mondo diverso in ogni amministrazione, può essere una perona preparata, può essere totalmente impreparato ma col desiderio di capire, o può anche disinteressarsi in buona parte della pesca. Anche perchè di solito è un’assessore all’agricoltura e dedica a quella gran parte della sua attività, poi alla caccia che ha lobby importanti, e infine nel tempo rimasto alla pesca.

In questo il ruolo dell’associazionismo nel richiamare il politico alle sue responsabilità è importante. Esistono ovviamente anche esempi positivi di politici che hanno intersse alla promozione della pesca e creano consulte e tavoli efficenti su cominciare a progettare un futuro migliore per i fiumi. ma in generale sono molto sensibili alla proposta e infastiditi dalla protesta, la politica chiede progetti e soluzioni, se le parti sociali sono in grado strutturare e referenziare progetti di norma l’ascolto è assicurato.

Corrado Forlani al lavoro

Recentemente ho letto una tua intervista in cui ti si chiedeva se era auspicabile una legge nazionale unica che regolamenti la pesca in tutta Italia. Ricordo che in quell’intervista dicesti di non vedere di buon occhio questa soluzione. Ti va di approfondire l’argomento?

Non sono pregiudizialmente contrario, ma una legge è una struttura complessa di norme, che su un territorio estremamente eterogeneo come quello Italiano difficilmente si adattano alle realtà locali, inoltre la situazione delle acque è in divenire ed emendare una legge rivolgendosi alla Regione già per il volontariato è difficile, se si dovesse andare al Ministero ogni volta sarebbe ingestibile.

Sono favorevole che il MIPAAF e il Ministero degli Affari Regionali, ognuno per le proprie competenze emanino alcune direttive che lle Regioni debbano recepire nella stesura delle loro leggi sulla pesca in acque interne. ad esempio un normativo chiaro sull’accesso alle sponde e la fruizione degli spazi demaniali, piuttosto che una lista delle specie redatta con concetti moderni, in modo da evitare quanto ad esempio è accaduto in emilia con la carpa. O ancora un interessamento per rendere reato penale la pesca illegale organizzata da presentare al ministero della giustizia. Ma poche cose, ma non oltre. Anche perchè è mia opinione che le acque debbano essere gestite dai pescatori e le modalità di gestione debbano essere decise sul territorio.

Comunque proprio su questo c’è un tavolo nazionale aperto e promosso da FIPSAS, a cui partecipo come DPE, diviso tra mare e acque interne e stiamo per perfezionare una proposta.

Grazie Mille per questa intervista Corrado!

Un caro saluto a te e a alla redazione.

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